Turismo e Agricoltura separati in casa? – Andalusia e Sardegna, eccellenza in aree svantaggiate

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Secondo i dati del Isnart, l’Italia si conferma come la prima meta più richiesta al mondo dai tour operator internazionali. La prima per prestigio del proprio patrimonio artistico, storico e della propria tradizione enogastronomica. L’Italia si classifica appena terza per l’offerta di shopping, ed è anche tra le destinazioni più visitate al mondo per turismo religioso.

Secondo il World Travel and Tourism Council, l’industria turistica italiana nel suo complesso (turismo nazionale e estero) crea occupazione per il più del 10% della popolazione e costituisce il 9,4% del PIL italiano con 147 miliardi di Euro. In crescita rispetto a due anni precedenti Il turismo è una delle attività più redditizie del paese. Tuttavia nonostante il Bel Paese sia il più desiderabile, nel 2011, è solo il quinto più visitato nel mondo con 46,1 milioni di turisti internazionali, dietro Francia, USA, Spagna e Cina.

L’Italia è rinomata per la sua tradizione del settore agroalimentare eppure secondo il Country Brand Index ha perso 5 posizioni in un solo anno, classificandosi quindicesima. L’Italia è rinomata per il prestigioso patrimonio artistico e culturale, ma esso è purtroppo in rovina, proprio come Pompei. Il governo investe solo lo 0,8 % del proprio PIL in cultura, contro la media europea del 3,0%, perseguendo la falsa linea del “con la cultura non si mangia” smentita dai quasi 80 miliardi (5,4 % del PIL) provenienti dal comparto cultura lo scorso anno.

Così, nonostante la riconosciuta desiderabilità e tradizione artistica e alimentare, il nostro paese con la pratica pare smentire la teoria. L’ultima riforma nazionale relativa al turismo risale a quasi 13 anni fa. Tuttavia, ultimamente il turismo pare essere cambiato parecchio divenendo maggiormente competitivo anche grazie alla maggiore accessibilità relativa ai costi, ai paesi in via di sviluppo, ai nuovi modi di fare turismo e alla rete. Chi viaggia regolarmente si renderà conto che spesso muoversi all’interno del suolo italiano può rivelarsi più costoso che andare all’estero. Son sempre più persone a optare per destinazioni low-cost, che soggiornano in alberghi diffusi, o addirittura gratuitamente con i servizi di couch surfing. Son anche sempre più coloro che scelgono destinazioni non convenzionali, che non sono interessati ai monumenti ma alla scoperta della reale cultura del popolo che li ospita.  Ed ecco che si verifica la crescita del turismo rurale.

Rafforzare il legame tra turismo, beni culturali, tradizione agricola, rispetto a quello relativo alla moda e alla religione, porta dei vantaggi non da poco. Innanzitutto, lo sviluppo del turismo legato ai beni culturali pone enfasi sulla loro salvaguardia e apre delle porte a tutti quei talenti in fuga dall’Italia legati al settore, e spesso maggiormente apprezzati nel resto del mondo, dall’archeologo al ricercatore accademico. La crescita del turismo rurale porta invece ad una rivalorizzazione delle campagne e dei suoi mestieri, enfatizza le pratiche tradizionali, e se orientato in maniera sostenibile riduce la cementificazione, rilanciando i prodotti locali e le piccole medie imprese, creando un futuro maggiormente resiliente. Il turismo rurale rappresenta questo punto di giuntura, unendo turismo e agricoltura, salvaguardia del territorio e del patrimonio culturale.

Il motivo per cui l’Italia non rappresenta quell’immagine da cartolina con la quale viene spesso stereotipata e dipinta non va, quindi, solo ricercato nel rafforzamento di tale legame al livello economico, o nella spauracchio della crisi finanziaria, ma anche e soprattutto in una ben più grave crisi socio-culturale che affligge il paese ormai da decenni.

Molti a ragion veduta diranno che il problema dello sviluppo del turismo rurale è che molte zone sono per l’appunto svantaggiate, o, che sempre meno giovani vogliono fare gli agricoltori o valorizzare il proprio patrimonio culturale. Che è lo stato il responsabile del malfunzionamento dei servizi turistici. E ciò è vero, ma solo in parte. Prendiamo infatti come esempio lo studio di Agriregionieuropa, il quale considera due giovani imprenditori provenienti da due zone mediterranee distinte e classificate come Aree Svantaggiate europee: L’Alqueria de Morayma in Andalusia (Spagna) e Su Massaiu in Sardegna. Le due imprese hanno entrambe integrato la loro esperienza agricola nella loro offerta turistica. A l’Alqueria i turisti possono per esempio partecipare alla raccolta delle olive, alla vendemmia, alla produzione dell’olio, del pane del vino e del formaggio, proprio come in altre parti d’Italia. Ma all’Alqueria il tentativo di preservare le pratiche tradizionali e valorizzarle al livello turistico ha trasformato un Centro di turismo rurale in un’impresa agricola certificata e biologica.

In Sardegna, Su Massaiu, a Turri, segue il processo inverso. Nasce come impresa agricola biologica e si trasforma in agriturismo per diversificare la sua offerta. Su Massaiu è un caso di eccellenza nella zona. La struttura che lo ospita è interamente in terra cruda e possiede una certificazione ambientale, la cura del territorio e il mantenimento della biodiversità sono infatti due presupposti fondamentali per il proprietario. Oltre a produrre e vendere una varia gamma di prodotti locali come il melone in asciutto o lo zafferano, offre anche escursioni sull’Altipiano della Giara e la possibilità per turisti e scuole di partecipare alla produzione in maniera tradizionale, fungendo persino da fattoria didattica.  L’intesa tra turismo e agricoltura rafforza entrambe le parti; accresce la resilienza nel territorio; è un incentivo culturale, e non solo economico, allo sviluppo.

Regione e Stato devono essere in grado di agevolare e istruire al fenomeno. Ma sono le comunità locali, le associazioni e le piccole medie imprese ad avere la possibilità di svolgere un ruolo fondamentale, anche solo partendo dalla creazione e diffusione di itinerari, che mettano in relazione realtà già esistenti, e che ne stimolino la creazione di nuove, che svolgano indagini volte a migliorare i servizi, o che rivalorizzino borghi e aree dismesse e dal valore storico. Le potenzialità cooperative delle nostre reti di trasporti, dei servizi informativi, dei nostri beni culturali e locali, del settore alberghiero (tra i pochi in crisi in Europa -1,2%) e delle decine di migliaia di attività turistiche rurali italiane sono limitate in maniera compromettente da una confinante visione della realtà, relativa tanto all’ignoranza dei singoli quanto alla natura del sistema capitalista. La chiave dello sviluppo sia del settore turistico che di quello agricolo è il legame che li accomuna, un rapporto che si finanzia e supporta reciprocamente. Esso non risiede infatti meramente nella competizione e nella stimolazione del mercato attraverso la riduzione dei costi, nella cementificazione, in investimenti multimiliardari o nella nascita di nuove imprese; ma nella creazione di una rete di cooperazione efficace tra gli attori già presenti, pubblici e privati, stimolando la creazione di un sistema maggiormente resiliente e meno suscettibile alle crisi esterne o alle logiche di omologazione culturale e del mercato.

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