Che ruolo assume l’arte pubblica nell’era post-covid?

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ARTRIBUNE – All’indomani della Prima Guerra Mondiale e dell’ultima grande pandemia, il tema del sociale e dell’azione pubblica divennero predominanti portando i fenomeni di emancipazione sociale a crescere in tutto il mondo, mentre i movimenti artistici tessevano un legame sempre più profondo con la politica, fino a convergere in veri e propri partiti. Esattamente un secolo fa, in questo contesto, nasceva il Partito Comunista Italiano e tra i suoi fondatori, Antonio Gramsci, in controtendenza al pensiero materialista-marxista, iniziò a rivendicare il ruolo della cultura, il ritorno ad un’arte “nazional-popolare” in grado di connettere -nella “prassi”- élite e popolo, ergendo l’artista contemporaneo a “intellettuale organico”, un ruolo considerato fondamentale nel superamento della crisi post-bellica, post-pandemica e nella creazione del “nuovo mondo”. 

A cent’anni di distanza, tuttavia, che ruolo assume l’arte pubblica nella politica attuale, in particolare nell’era post-covid?  Quali sono le odierne pratiche artistiche le cui operazioni-prassi potrebbero essere considerate anche interventi politici? Quali artisti o operatori che richiamano la figura di “intellettuali organici”? In collaborazione con Fondazione Casa Gramsci, diversi partner artistici nazionali ed europei -e attraverso casi studio, testimonianze e approcci teorici propri del pensiero gramsciano- andremo ad approfondire i collegamenti tra l’arte socialmente impegnata, i cambiamenti politici, la riaffermazione di spazi democratici e i fenomeni di resistenza collettiva, rivelando metodologie, potenzialità e criticità dell’arte definita pubblica e comunitaria.

Di Isabel Gollin, Luca Pirisi e Gian Luca Atzori
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